Descrizione
Preoccupatevi più del vostro carattere che della vostra reputazione, perché il vostro carattere è quello che siete realmente, mentre la vostra reputazione è solo quello che gli altri pensano che voi siate. (John Wooden)
Semplificando, si può dire che la risposta data alla domanda “Cosa penso di me?” determina la nostra autostima. Di fatto essa è la personale valutazione di se stessi. E questa valutazione dipende da numerosi fattori: la nostra storia passata, il processo educativo che ha accompagnato il nostro crescere, il contesto socio-culturale in cui viviamo, la personale situazione socio-economica…
Tentare un cambiamento della propria autovalutazione implica la necessità di esaminare molti parametri: dalle emozioni negative che si provano alla modalità di percezione della realtà, dai fattori amplificanti alla chiarezza dei propri desideri… e così via.
Cosa è veramente importante per noi? Chi o quale idea (o credenza, giudizio,…) determina la valutazione di noi stessi e del nostro operato? Qual è il “nostro centro di gravità permanente? Perché è anche dall’adesione, non sempre consapevole, a queste idee che noi pensiamo più o meno bene di noi… e degli altri!
Di fatto c’è un’identità fondata sul ruolo sociale e sulle aspettative che il contesto esterno richiede ed un’identità fondata sulle profonde aspirazioni dell’anima e centrata sulla realizzazione di desideri che ricercano ampi spazi dove prendere il volo.
La prima identità sancisce la normalità che riceve il consenso sociale.
L’altra, in contraddizione, esprime desideri, capacità, abilità e tutto ciò che attraversa la storia del proprio essere persona e che viene messa nell’angolo e schiacciata dalla prima.
Per es., molte aspettative sociali sulla donna e sul ruolo che deve assumere (al primo posto la cura dei bisogni altrui) fanno si che ella perda la propria identità personale e tutto diventa ruolo… soffocante, imprigionante e negante le proprie capacità e risorse creative.
Quando si vive nella stanchezza, nella rinuncia a lottare per l’affermazione delle parti più vere di sé, quando non si vedono sbocchi alla propria condizione, quando non si pensa di avere vie d’uscita, quando si è vittime di violenza, quando le donne fanno e pensano ciò che il ruolo prescrive loro iniziano a star male.
Spesso si ammalano nell’anima e nel corpo e la malattia può essere interpretata anche come una ribellione inconsapevole e passiva al ruolo. È necessario allora fermarsi…
Conduce: dr. Maurizio Bottino
N.° slide: 22 – Durata: 81′
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